C'è un pittore che più di ogni altro è necessario tener presente nel tentar di decifrare l'esperienza artistica di Isabella Crucianelli.
Quel pittore è Paul Klee. Ma sarebbe errato leggere questa affinità solo sul livello esteriore della somiglianza delle immagini. L'affinità, invece, riguarda un dato mlto più profondo: la certezza che l'arte non è possesso del mondo, ma semmai, è un umile gesto i cui l'uomo, svelando il proprio limite riconosce la sproporzione che lo circonda.
P. Klee, come pochi altri rappresentanti della cultura europea avevano mai osato fare, mette al bando l'idea dell'artista onnipotente.
Si pone in cerca dell'invisibile, ma per iniziare questo cammino, deve farsi piccolo, deve riconoscere la propria totale dipendenza da un Centro che l'ha generato. Proprio da questo capovolgimento di prospettiva, questa rinuncia alla propria potenza, prende le mosse anche Isabella Crucianelli. Una rinuncia che però si trasfigura immediatamente in ricchezza. La pittura cammina quasi da sola, diventa portavoce e diagramma di una esperienza che una Presenza più grande sta guidando.
Come scrisse Klee, poco prima di morire, la pittura porta "un pò più vicino al cuore della creazione", ma perchè questo accada, la fantasia dell'artista deve quasi adattarsi a parlare con le lettere dell'invisibile. I colori, le forme, e i segni devono trovare la loro unica energia nel rapporto con quel Centro che si vuol restituire a tutta la sua evidenza. Restituirlo là dove, la lontananza da quel centro produce dolore, cupezza (pensate all'ultimo Klee con i funerei presagi del conflitto mondiale) o produce una frattura nella storia.
Con la pittura Isabella Crucianelli ricostruisce proprio tutti gli alti e bassi di questa vicenda umana.
Ma la lontananza, quando c'è, non riesce mai a spegnere quella luce che illumina la vita come tutta la sua pittura.
GIUSEPPE FRANGI